Anche l’Italia ha dovuto operare ritocchi di grande rilievo al suo sistema di welfare nel corso degli ultimi decenni. In particolare, a partire dall’ultima parte del passato millennio, il nostro Paese ha dovuto mettere mano agli squilibri del sistema pensionistico. Lo ha fatto anche per dare seguito ai continui richiami dell’Unione Europea e nonostante una forte opposizione, in particolare adottando il sistema retributivo al posto di quello contributivo. Ne sono conseguite pensioni più magre, le quali hanno imposto all’attenzione generale una nuova necessità, quella di reperire nuove formule in grado di affiancarsi alla pensione pubblica erogata dall’INPS.
In questo quadro si è andata sempre più affermando la pensione integrativa, proposta da decine di fondi gestiti da svariate realtà. In pratica, le Società di Gestione del Risparmio (SGR), le assicurazioni, le banche e le Società di Intermediazione Mobiliare (SIM), ovvero i soggetti che propongono questo genere di previdenza, chiedono ai lavoratori di versare dei fondi che andranno a formare un secondo trattamento pensionistico. Una seconda entrata la quale dovrà essere corrisposta nel momento in cui l’aderente al fondo pensione uscirà definitivamente dal lavoro, nel caso in cui vanti almeno un quinquennio di contribuzione al fondo stesso.
I soldi apportati dagli iscritti sono quindi oggetto di investimento da parte del fondo stesso, in azioni e obbligazioni. Asset finanziari che comportano rischi, dai quali sono però esentati i lavoratori. In caso di fallimento, infatti, quanto versato è assolutamente protetto dalla separazione operata a monte con il patrimonio dell’azienda che gestisce il fondo.
Naturalmente, il sistema previdenziale integrativo è oggetto di una serrata discussione, che va avanti in pratica dal 1995, anno in cui la riforma Dini lo introdusse nel nostro ordinamento. Una discussione corredata da una serie di domande che anche tu dovresti porti nel caso sia interessato ad un tema ormai considerato cruciale. Tra i tanti quesiti che lo riguardano, c’è anche quello relativo al regime fiscale cui i fondi pensione devono sottoporsi. Andiamo quindi a vedere la questione nel dettaglio.
Pensione integrativa: i vantaggi della tassazione
Quando si affronta il discorso relativo ai fondi pensione, è praticamente impossibile non immettere al suo interno la questione relativa ai vantaggi che gli stessi sono in grado di assicurare a tutti coloro che hanno deciso di iscriversi ad uno di essi. Nel nostro Paese, stando ai dati disponibili, sarebbero ormai quasi nove i milioni i lavoratori che hanno optato per una pensione integrativa destinata a colmare per quanto possibile il prevedibile gap formatosi nei confronti dei trattamenti pensionistici erogati quando il sistema era imperniato sul modello contributivo.
Nel farlo, hanno naturalmente messo in conto i vantaggi collegati al far parte di un fondo pensione. Tra quelli più rilevanti c’è proprio quello rappresentato dal trattamento fiscale che lo Stato italiano riserva alla previdenza integrativa. I soldi che i lavoratori decidono di immettere nel fondo pensione, infatti, godono della deducibilità dalla dichiarazione dei redditi. In tal modo, non solo vanno ad alimentare la posizione all’interno del fondo, ma sono anche destinati a ridurre il reddito imponibile e a produrre un notevole risparmio in termini di IRPEF da versare al fisco.
La cifra che ogni aderente alla previdenza integrativa può dedurre si attesta a quota 5164,27 euro. In questa somma sono inclusi non solo i contributi versati dal lavoratore al fondo pensione, ma anche quelli spettanti al datore di lavoro e quelli che siano versati sempre dall’aderente a favore di un familiare a carico dal punto di vista fiscale, si tratti di moglie o figlio.
Tassazione fondi pensione esempio
Per riuscire a capire meglio le implicazioni di quanto abbiamo detto, basta in effetti fare un semplice esempio, relativo agli scaglioni IRPEF in vigore nel corso dell’anno passato. Prendendoli come base, un lavoratore caratterizzato da un reddito imponibile pari a 52mila euro dovrebbe lasciarne 15.260 sotto forma di IRPEF allo Stato. Per effetto della deduzione della somma versata al proprio fondo pensione, l’imponibile si attesterebbe invece a quota 46.835,43 euro, con un risparmio che andrebbe ad avvicinarsi ai 2mila euro.
Per quanto riguarda la deducibilità, dovresti però prendere in considerazione una postilla. Tra i lavoratori autonomi in regime forfetario che optano per la pensione integrativa, che nel nostro Paese sono in effetti molti, sono in grado di usufruirne esclusivamente quelli che fanno riferimento a casse di previdenza obbligatorie, ad esempio i notai o gli psicologi. A questo novero vanno poi aggiunti i percettori di redditi diversi assoggettati a IRPEF in aggiunta a quelli risultanti dalla propria attività professionale, ad esempio i diritti d’autore. Coloro i quali non sono in grado di portare in deduzione le somme che sono state investite nei fondi pensione hanno comunque una strada alternativa da poter praticare, in quanto possono essere esentati dal punto di vista fiscale all’atto dell’erogazione della pensione complementare.
⌨️ Confronta i fondi pensione e trova il N°1
Un altro aspetto fondamentale: la tassazione del TFR
Il Trattamento di Fine Rapporto (TFR), rappresenta un aspetto troppo spesso sottovalutato dai diretti interessati, ovvero i lavoratori. Dandolo evidentemente per acquisito, non affrontano infatti il discorso relativo alla sua destinazione e lo lasciano in azienda.
Si tratta però di un errore di non poco conto, che dovresti assolutamente evitare, in quanto proprio la sua destinazione può apportare ulteriori vantaggi. Siamo infatti in presenza di un importo di una certa importanza, corrispondente quasi al 7% della retribuzione lorda, anno dopo anno. Il fatto è che quando sarà maturato il diritto a prelevarlo, il TFR verrà sottoposto ad un regime fiscale elevato, in pratica quello ordinario. Essendo parte integrante del reddito, sarà di conseguenza tassato seguendo gli scaglioni delle aliquote, che vanno da un minimo del 23% ad un massimo del 43%.
Per capire quanto non sia conveniente lasciare il TFR in azienda dovresti a questo punto ricordare che versarlo all’interno di un fondo pensione gli consente di apportare un ulteriore vantaggio agli interessati. In questo secondo caso, infatti, è possibile una notevole riduzione del trattamento fiscale, grazie ad un bonus il quale può arrivare sino al 34%, nel caso in cui sia possibile approfittare di tutte le agevolazioni rientranti nel nostro ordinamento. Un argomento troppo spesso sottovalutato, ma tale da spostare in maniera sensibile i termini del discorso complessivo sulla reale convenienza della pensione integrativa.
Rendimenti sottoposti ad aliquote ridotte
Oltre alla convenienza di destinare il TFR ai fondi pensione, c’è un altro aspetto fiscale che dovresti esaminare, per capire la reale convenienza di aderire agli stessi. Stiamo parlando delle aliquote ridotte di cui sono gratificati i rendimenti, per effetto delle quali quella che viene solitamente indicata alla stregua di una spesa si traduce invece in un investimento vero e proprio.
Le somme di denaro che vanno ad alimentare il proprio fondo pensione sono infatti gestite per fruttare entrate aggiuntive a favore degli aderenti al fondo. In pratica, l’ente cui sono stati affidati i soldi provvede ad investirli sui mercati finanziari, solitamente sotto forma di azioni o obbligazioni. Naturalmente la speranza è di generare ritorni importanti e il risultato, almeno stando ai dati disponibili, viene spesso centrato. Gli importi in questione sono assimilabili a rendite di carattere finanziario, sulle quali, come è ormai noto, in Italia si paga il 26%. Nel caso dei fondi pensione, però, tale tassazione scende al 20%, con una ulteriore discesa al 12,5% nel caso in cui il fondo si orienti sui titoli di Stato.
Cosa vuol dire, tutto ciò, all’atto pratico? Molto semplicemente che la differenza di trattamento fiscale nel lungo termine va a tradursi in performance molto positive del fondo. Non a caso i raffronti tra i rendimenti dei fondi pensionistici e quelli del TFR lasciato in azienda segnano una differenza di quasi tre punti percentuali, a favore dei primi. Altro dato che dovresti tenere senz’altro in considerazione, soprattutto se sei in procinto di operare una scelta e intendi fare in modo che possa apportare reali vantaggi da un punto di vista pensionistico.
Qual’è la tassazione prevista per il riscatto del fondo pensione?
Il versamento dei contributi anno dopo anno, apre la strada verso il sospirato momento in cui l’aderente ad un fondo potrà riscattare la pensione e aggiungerla a quella pubblica erogata dall’INPS. Per farlo deve naturalmente avanzare la richiesta relativa alla corresponsione di quanto è stato versato alla controparte, oltre che della maggiorazione degli interessi maturati nel corso della durata contrattuale.
La richiesta in tal senso può essere fatta scegliendo tra due modalità: rendita vitalizia oppure capitale. Si tratta in effetti di una scelta importante: scegliendo la prima opzione l’interessato potrà percepire lungo tutto l’arco di vita restante, e in maniera periodica, un importo in denaro, mentre abbracciando la seconda ipotesi si vedrà corrispondere la metà di quanto maturato in unica soluzione, con il resto che sarà invece dilazionato durante gli anni.
In entrambi i casi, comunque, l’imposizione fiscale collegata al riscatto del fondo pensione risulterà la stessa. Gli aderenti ai fondi pensione, infatti, sono sottoposti ad imposta sostitutiva pari al 15% per i contributi che siano stati versati a partire dal primo giorno del gennaio 2007, un livello il quale può però essere oggetto di riduzione con il progredire dell’anzianità di partecipazione. In pratica, dopo i primi quindici anni l’aliquota applicata ai versamenti cala dello 0,3% per ognuno di quelli successivi, con un minimo che andrà ad attestarsi al 9%.
Dovresti poi ricordare che all’imponibile vanno sottratti gli importi collegati ai rendimenti che sono stati maturati, in quanto già sottoposti a prelievo fiscale, oltre ai contributi che non sono stati oggetto di deduzione all’interno delle dichiarazioni dei redditi relative agli anni della contribuzione al fondo pensione.
Quello che risalta all’interno del discorso affrontato, è comunque il godimento da parte di coloro che abbracciano la previdenza integrativa di una serie di agevolazioni molto interessanti. Tali da renderla agli occhi di un numero sempre maggiore di lavoratori una interessante alternativa, soprattutto ove rapportata a trattamenti pensionistici i quali, nell’era del sistema contributivo, si presume che saranno molto più magri di quelli corrisposti ai tempi del retributivo. Uno spettro destinato a risaltare in particolare nei momenti in cui l’inflazione dia luogo a fiammate dei prezzi destinate a incidere sulle rendite più basse.
Anticipo fondo pensione: di cosa si tratta e come viene tassato
Sino a questo momento, abbiamo preso come base di discussione l’ipotesi dell’iscritto ad un fondo pensione il quale, dopo aver provveduto al versamento dei contributi destinati alla pensione integrativa, li riscatta nel momento dell’uscita dal lavoro. Se questo è in fondo l’esempio classico, occorre anche sottolineare come le casistiche possano variare, come avviene quando il lavoratore decide di procedere alla richiesta di anticipare quanto dovuto dalla controparte.
Un evento il quale può riguardare ad esempio coloro che si ritrovano di fronte a spese aggiuntive improvvise, quindi non previste, il cui sostenimento potrebbe comportare grossi problemi per il bilancio familiare. Purtroppo si tratta di eventi non proprio rari, per i quali i fondi pensione hanno previsto la possibilità da parte degli interessati di richiedere sino al 75% di quanto è stato da essi maturato.
Un altro caso simile è poi quello rappresentato dalla possibilità di investire per l’acquisto di un immobile, magari da destinare ai figli, oppure di ristrutturare quello di proprietà usufruendo delle agevolazioni previste nel nostro Paese in questi casi. Anche in queste ipotesi il lavoratore può procedere alla richiesta di un anticipo pari al 75% di quanto maturato al momento della richiesta, ma soltanto se la sua adesione al fondo è avvenuta otto o più anni prima.
Inoltre ci sono altri casi, di svariata natura, che possono essere esplorati di concerto con il proprio fondo pensione. In genere, questi casi vedono il rilascio di una somma che però non supera il 30% di quanto è stato nel frattempo maturato.
In un caso o nell’altro, il riscatto anticipato del fondo pensione viene sottoposto a tassazione, variabile in base alla motivazione su cui si basa la richiesta. Se per quanto concerne le spese di carattere sanitario il regime fiscale cui viene sottoposto prevede una ritenuta a titolo di imposta pari al 15%, da abbinare ad una riduzione dello 0.30% dipendente dall’anzianità, in tutte le altre evenienze si applica una aliquota pari al 23%.
Trasferimento del fondo pensione: il trattamento fiscale
I fondi pensione hanno avuto un’ottima accoglienza, nel nostro Paese. Come abbiamo già ricordato ammonta a circa 9 milioni il numero di lavoratori italiani che si sono rivolti alla previdenza complementare per riuscire a trovare una risposta all’esigenza sempre più diffusa di costruire una posizione solida per quando sarà arrivato il momento di uscire dal mondo del lavoro.
Un numero che continua a crescere anno dopo anno, nonostante rendimenti dei fondi che non sembrano corrispondere alle attese. Chi è in grado di farlo si iscrive nell’evidente intento di integrare trattamenti pensionistici che con il sistema retributivo si preannunciano più leggeri rispetto al passato.
A volte, però, per i più svariati motivi gli interessati possono decidere di tornare indietro e magari virare per prodotti reputati più aderenti alle proprie personali esigenze. Il mercato propone infatti un gran numero di soluzioni, tali da prospettare una maggiore flessibilità e libertà in fase di contribuzione. Quando ciò accade, il trasferimento da un fondo pensione ad un altro non è comunque soggetto ad alcun genere di tassazione. Se sono trascorsi due anni dall’adesione ad uno di essi, è possibile il trasferimento della posizione presso un altro gestore senza che si prospetti alcun genere di onere fiscale a carico dell’interessato. Il tutto senza che tale spostamento vada a pregiudicare in alcun modo l’anzianità che è stata maturata nel frattempo, la quale potrà essere ripresa presso il nuovo ente scelto.
Se intendi procedere al trasferimento ti sarà necessario compilare due documenti principali: l’autorizzazione a procedere rilasciata dalla parte cessionaria e una richiesta formale di trasferimento che dovrà essere sottoscritta dall’aderente. A tale proposito va anche ricordato che tutti i fondi pensione sono tenuti a mettere a disposizione degli interessati il modulo per la richiesta del trasferimento, senza frapporre ostacoli di alcun genere.
A stabilire i tempi dell’operazione è proprio la normativa vigente, indicandoli in un massimo di 6 mesi dalla ricezione della richiesta, da parte del fondo cessionario. A dilatare i tempi in questione è il necessario coinvolgimento di altri soggetti, a partire dal datore di lavoro, cui spetta il compito di condurre in porto i versamenti del TFR e degli eventuali contributi aggiuntivi. Mentre per quanto riguarda i costi, possono anche essere pari a zero, ma devono eventualmente essere indicati con assoluta chiarezza da ogni fondo, sulla relativa documentazione.