Capire la pensione integrativaI fondi pensione sono sicuri?

I fondi pensione sono sicuri?

Quanto sono sicuri i fondi pensione, in Italia? È una domanda che ti dovresti porre anche tu nel caso in fossi intenzionato a stipulare un contratto finalizzato alla creazione di una pensione integrativa, da aggiungere a quella erogata dall’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS).

In effetti sin dall’esordio di quello che è considerato il secondo pilastro del sistema previdenziale tricolore, in molti hanno lanciato un allarme sulla scarsa trasparenza che in altri Paesi ha caratterizzato i fondi pensione. Quanto accaduto in altri Paesi dovrebbe spingerti a informarti in maniera più compiuta sui rischi collegati all’adesione ai fondi pensione.

Non è assolutamente detto che anche quelli operanti in Italia diano luogo a comportamenti così incauti, ma non esiste sicurezza o quasi, al proposito. Proviamo quindi a capire meglio la questione, affrontandone tutti gli aspetti chiave.

Fondi pensione: quanto sono sicuri?

La mancanza di una vera cultura del risparmio nel nostro Paese, si traduce spesso in un’adesione acritica verso strumenti finanziari che possono in effetti riservare grandi rischi. Rischi i quali dovrebbero senz’altro essere evitati da parte di chi intende costruirsi una posizione sicura nella parte di vita successiva all’uscita dal mondo del lavoro.
Com’è ormai noto, nell’ultima parte del passato millennio anche il nostro Paese ha dovuto prendere in considerazione una ridefinizione del sistema previdenziale. Un’operazione resa necessaria dagli squilibri dello stesso, iniziata con la riforma Dini varata nel 1995, a seguito della quale si iniziò il passaggio dal sistema retributivo al contributivo. Operazione poi portata definitivamente a termine dalla riforma Fornero del 2012, la quale ha lasciato il secondo come unico sistema di calcolo delle pensioni nel nostro Paese.

Un percorso a volte tribolato, a seguito del quale i trattamenti pensionistici sono stati sottoposti ad una cura dimagrante tale da imporre a molte persone l’obbligo di guardarsi intorno per cercare di capire come ovviare alla nuova situazione. La risposta è stata da molti individuata nella pensione integrativa, proposta da Società di Gestione del Risparmio (SGR), assicurazioni, istituti bancari e Società di Intermediazione Mobiliare (SIM).

Stiamo in pratica parlando di una seconda fonte di entrata la quale viene a formarsi grazie al versamento di contributi periodici da parte dei lavoratori interessati. Proprio in quanto gli stessi anticipano del denaro, la domanda che sorge spontanea è relativa all’effettiva sicurezza dei fondi pensione. Una domanda che dovresti senz’altro porti anche tu, se interessato ad un’ipotesi simile, in modo da avere un quadro abbastanza preciso sul quale fondare la decisione finale.

Fondi pensione: la sicurezza deriva dalla direttiva IORP II

Il punto da cui partire per la nostra disamina è rappresentato dal decreto legislativo 13 dicembre 2018, contrassegnato dal numero 147 e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale numero 14 del 17 gennaio 2019. Proprio questo provvedimento, infatti, ha apportato una serie di rilevanti modifiche alla normativa relativa ai fondi pensione. Modifiche che sono state ispirate dalla Direttiva 2016/2341 emanata dall’Unione Europea, con la quale è stato affrontato un tema cruciale come quello rappresentato dall’attività degli enti pensionistici aziendali o professionali e la necessaria vigilanza sugli stessi.

Indicata come Direttiva IORP II, questa nuova disciplina stabilisce che a partire dal primo giorno di febbraio del 2019 i fondi pensione devono sottoporsi ad audit interni e attuariali, visti come il modo più efficace per evitare pessime sorprese a discapito degli aderenti. I fondi, di conseguenza, sono sottoposti ad una sorveglianza molto più rigida rispetto al passato, la quale deve passare al setaccio non solo i profili finanziari, ma anche tutte le problematiche relative alla loro operatività. Anche i fondi operanti nel nostro Paese, quindi, sono stati oggetto di una ridefinizione dei controlli interni sui loro modelli organizzativi, dando una prima risposta in tema di sicurezza a coloro che hanno deciso di aderirvi.

Altro aspetto molto importante affrontato dalla direttiva europea, che è naturalmente stata recepita nell’ordinamento italiano, è quello che fa riferimento alla necessità di informare in maniera dettagliata ed esauriente i lavoratori che decidono di ricorrere alla previdenza complementare. In pratica, i fondi pensione sono obbligati a mettere a disposizione della propria clientela tutte le informazioni riguardanti le prestazioni e le modalità di erogazione della rendita o del capitale che è stato maturato dagli interessati nel momento in cui avviene la fuoriuscita dal lavoro. Al fine di conseguire il massimo di trasparenza possibile dovranno quindi essere comunicate ad ognuno degli aderenti tutte le possibilità che si prospettano in tema di erogazione di quanto dovuto. Una comunicazione che, peraltro, deve avere luogo almeno tre anni prima che il lavoratore diventi a tutti gli effetti un pensionato.

La direttiva europea ha poi affrontato il tema relativo all’attività transfrontaliera, apportando una sensibile semplificazione nei riguardi di qualsiasi genere di attività riguardante il trasferimento di posizioni previdenziali aperte all’interno dei fondi pensione di stati membri dell’Unione Europea. Per effetto di quanto disposto al suo interno è ora più facile portare a termine il trasferimento di una posizione da un Paese all’altro, all’interno dell’eurozona.
Altro aspetto affrontato dalla Direttiva IORP II è poi quello relativo alla necessità di apportare maggiori profili di efficienza e sicurezza ai fondi pensione, obbligandoli ad un miglior funzionamento. Per riuscirci, la nuova normativa ha dato luogo ad un deciso rafforzamento delle competenze spettanti all’autorità di vigilanza, che è in Italia rappresentata dal COVIP (Commissione di Vigilanza sui Fondi Pensione). In particolare, ha autorizzato la stessa a condurre una serie di ispezioni tese a monitorare al meglio le società cui i fondi si affidano nell’intento di esternalizzare alcuni dei loro servizi.

Infine, è stato deciso che qualsiasi aderente a questi organismi di gestione della previdenza complementare possa tutelare al meglio i propri interessi. Per farlo, una volta che siano state riscontrate anomalie o vere e proprie irregolarità, gli interessati possono richiedere i necessari chiarimenti alle società che gestiscono i fondi. Mentre queste ultime sono obbligate a fornire un riscontro non solo tempestivo, ma anche tale da fugare ogni possibile dubbio.

Il congegno disposto in questo modo ha quindi dato luogo ad una vera e propria stretta normativa, impedendo in molti casi la possibile formazione di zone grigie a discapito di tutti coloro che si rivolgono alla previdenza integrativa nel chiaro proposito di ritagliarsi una seconda entrata. Una nuova realtà di cui dovresti tenere senz’altro conto.

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I fondi pensione sono garantiti dallo Stato

Sinora, abbiamo ricordato i fattori che contribuiscono alla sicurezza del sistema. Naturalmente, però, la domanda che dovresti rivolgerti è un’altra, ovvero: quante possibilità esistono che un fondo pensione possa fallire?
La risposta al quesito deve essere necessariamente secca: nessuna. Per riuscire a capire meglio occorre a questo punto fare ricorso proprio alla normativa vigente nel nostro Paese, ovvero il decreto legislativo 252/05, che nell’articolo 15 comma 5 afferma che ai fondi pensione si deve obbligatoriamente applicare la disciplina dell’amministrazione straordinaria e della liquidazione coatta amministrativa. Mentre è assolutamente da escludere l’ipotesi di un default. Quindi, possiamo dire con assoluta certezza che i fondi pensione vantano una vera e propria garanzia statale, per effetto della quale possono magari entrare in una fase di difficoltà, ma non certo fallire.

Proprio questa importante risoluzione normativa rende l’ipotesi di adesione ad un fondo pensione un vero e proprio investimento. Un investimento in vista del quale gli interessati dovrebbero preoccuparsi di reperire sul mercato la soluzione più confacente alle proprie personali esigenze, senza alcun timore di poter perdere i propri soldi. I fondi pensione non possono fallire e ad evitare un’ipotesi di questo genere è proprio lo Stato.

Il rischio reale non è quello di fallimento

Come abbiamo visto sin qui, la previdenza integrativa è una strada praticabile nell’ottica di ricavare una seconda entrata ricorrente in grado di rimediare alla sforbiciata apportata ai trattamenti pensionistici dalle tante riforme attuate in Italia, nel corso degli ultimi tre decenni.

A renderla tale sono i vantaggi che una pensione integrativa può assicurare. Vantaggi visibili in particolare da un punto di vista fiscale, per effetto della deducibilità degli importi versati ai fondi pensione dalla dichiarazione dei redditi. In pratica, tutti i soldi impiegati sotto tale veste escono dall’imponibile IRPEF, sino ad un massimo di 5.164,57 euro, comportando un notevole risparmio a favore degli interessati.

Naturalmente, prima di abbracciare l’idea di aprire una posizione all’interno di un fondo pensione, occorre soppesare in maniera rigorosa i rischi che sono collegati ad organismi di questo genere. Occorre infatti sapere che le società che portano avanti questa attività, per poter versare quanto concordato a livello contrattuale, ovvero il ritorno delle cifre immesse nel fondo dai lavoratori più gli interessi maturati nel periodo intercorrente dal primo all’ultimo versamento, devono investire i soldi. Un investimento che ha come sbocco i mercati finanziari. In particolare, i fondi pensione sono soliti investire in azioni e obbligazioni. Se le prime sono più rischiose, sono anche in grado di premiare maggiormente gli investitori.

Come si sa, però, i mercati finanziari sono molto volatili e, di conseguenza, molto pericolosi. Se il pericolo di un default del fondo non esiste, quello che è presente dietro l’angolo deriva dal sempre possibile deperimento dei rendimenti. Se qualche investimento in azioni o obbligazioni va male, come è accaduto nel caso di Credit Suisse citato all’inizio, a risentirne è proprio il rendimento complessivo del fondo, il quale potrebbe ripercuotersi sui trattamenti economici degli aderenti.

Si tratta del resto di un’ipotesi verificatasi più volte, nel corso degli ultimi anni, favorita del resto da comportamenti disinvolti. Basti pensare in tal senso a Caisse de Dépôt, ovvero il secondo più grande fondo pensioni del Canada, che appena nove mesi prima del fallimento di Celsius, una società che prestava in criptovaluta, aveva investito al suo interno ben 150 milioni di dollari. Si tratta in effetti di un caso limite, tale però da far capire come i fondi pensione siano al riparo dal rischio di fallimento, ma non certo dai rischi derivanti da condotte incaute dei propri dirigenti.

Alcuni dati da tenere presenti

I fondi pensione non possono fallire, ma possono deludere le aspettative degli aderenti. Per capire meglio questo particolare aspetto, ci vengono in aiuto come al solito i dati nudi e crudi. Con il ritorno dell’inflazione, infatti, il patrimonio cui possono attingere gli stessi rischia di depauperarsi in maniera molto sensibile, in quanto la valutazione di bond e titoli del debito pubblico acquistati nel passato scende.

A questa prima considerazione se ne deve poi aggiungere un’altra, non meno rilevante. Nel corso del decennio a cavallo della pandemia di Covid, i fondi pensione hanno deciso di investire una quantità di denaro superiore a quella di cui effettivamente disponevano. L’intento che li ha spinti a farlo era di assicurare agli aderenti ritorni maggiori rispetto a quelli collegati al mantenimento del TFR (Trattamento di Fine Rapporto) all’interno dell’azienda da parte dei lavoratori. Chiaramente si pensava che favorendo questo trend sarebbe aumentato il numero di soggetti intenzionati ad abbracciare l’ipotesi di una pensione integrativa. Nell’ambito di tali operazioni, però, le società di gestione del risparmio e gli altri soggetti interessati hanno utilizzato strumenti molto rischiosi, a partire da derivati e operazioni con leva finanziaria. Nel farlo hanno indicato come garanzia proprio gli asset patrimoniali.

L’operazione si è rivelata improvvida proprio nel momento in cui l’inflazione è tornata a mordere. Il crollo dei prezzi che ne è scaturito ha quindi spinto i gestori a intraprendere una vera e propria corsa alla vendita. Hanno cioè provato a limitare le perdite, senza però riuscirvi, se non in maniera parziale. Basti pensare a quanto accaduto in Gran Bretagna, ove la Bank of England si è vista costretta ad un deciso intervento, teso con tutta evidenza a tamponare una situazione che rischiava di tramutarsi in un crac epocale. Mentre nel nostro Paese le perdite accumulate dai fondi si sono attestate intorno al 6% rispetto al patrimonio detenuto. Proprio il COVIP ha messo nero su bianco come i rendimenti dei fondi operanti all’interno dei confini nazionali si siano inabissati nel periodo in esame nell’ordine del 10%.

Quanto abbiamo ricordato dovrebbe far capire in maniera abbastanza esauriente come, in una ipotetica valutazione sull’effettiva convenienza di aderire ad un fondo pensione, si dovrebbero considerare tutti i pro e i contro. Se i vantaggi dal punto di vista fiscale sono assolutamente evidenti, occorre però cercare di individuare le realtà che sono in grado limitare al massimo i contro.

Proprio per questo motivo, prima di stilare un contratto teso ad aprire una posizione previdenziale con i fondi pensione, dovresti monitorare con molta attenzione il mercato. In Italia, infatti, sono decine le proposte in tal senso. Un ventaglio di soluzioni tra le quali è sempre possibile reperire il giusto mix tra rendimenti elevati e necessità di sicurezza. Adottando questo modus operandi, dovresti senz’altro essere in grado di eliminare i pericoli esistenti sulla strada che ti divide da una serena uscita dal lavoro.

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