La pensione complementare è stata individuata dal sistema politico come lo strumento in grado di aggiungersi a trattamenti pensionistici che, dopo l’avvento del sistema contributivo, avvenuto nel 1995 con la riforma Dini, sono più leggeri di quelli che derivavano dal retributivo. Sistema contributivo il quale, del resto, a seguito della riforma Fornero approvata nel 2012, rappresenta in pratica l’unico criterio di calcolo ora utilizzato per le pensioni.
Nell’intento di porre basi più stabili alla vecchiaia, molti lavoratori hanno quindi deciso di aderire ad un fondo pensione, potendo usufruire nel nostro Paese di decine di proposte, immesse sul relativo mercato da Società di Gestione del Risparmio (SGR), aziende assicurative, banche o Società di Intermediazione Mobiliare (SIM). Per tutti coloro che hanno deciso di intraprendere questa strada, naturalmente, l’obbligo è di riuscire a reperire la soluzione più confacente alle proprie esigenze, in modo da valorizzare quello che deve essere considerato a tutti gli effetti alla stregua di un investimento.
Tra le tante domande che gli interessati si pongono, c’è anche quella relativa alla modalità con cui può essere riscosso l’importo maturato al momento in cui si apre finalmente la sospirata strada della pensione. Andiamo quindi a cercare di capire quale sia il modo migliore, ovvero più conveniente, di percepire quanto maturato a seguito dell’adesione ad un fondo pensione.
Pensione complementare: come può essere percepito quanto maturato?
La pensione integrativa, come abbiamo già ricordato in precedenza, può essere percepita in contemporanea con quella pubblica, una volta che il lavoratore abbia maturato il diritto alla definitiva fuoriuscita dal lavoro. Per poterlo fare, però, occorre che l’interessato vanti non meno di cinque anni di versamenti al fondo pensione di cui ha sottoscritto le proposte.
Una volta che tali condizioni si siano verificate, il lavoratore può quindi passare all’incasso di quello che ha investito in vista del meritato riposo, dopo i decenni trascorsi sul posto di lavoro. Un incasso il quale può avere luogo in tre modi distinti:
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- optando per la liquidazione del 100% della somma maturata sotto forma di rendita vitalizia;
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- indicando come modalità di corresponsione di quanto dovuto il conto capitale, a patto che la cifra maturata sia al di sotto di un determinato importo;
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- indicando il 50% sotto forma di vitalizio e il restante alla stregua di capitale.
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Si tratta con tutta evidenza di modalità molto diverse tra di loro, che devono quindi essere soppesate con grande attenzione. In particolare, optando per la rendita vitalizia il lavoratore sarà in pratica destinatario di un versamento mensile lungo tutto il corso della sua esistenza, sino al decesso. Mentre la corresponsione del capitale esaurisce il flusso in entrata in una sola volta. Spetta naturalmente all’interessato, sulla base della propria personale situazione, cercare di capire quale possa essere la scelta migliore per non ritrovarsi a combattere con difficoltà di carattere finanziario nell’ultima parte della propria esistenza.
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Rendita: di cosa si tratta
Per rendita si intende la modalità di erogazione di quanto dovuto al lavoratore che ha sottoscritto il fondo pensione ed è andato in pensione, sotto forma di una somma erogata periodicamente a suo favore. In pratica si tratta di una vera e propria pensione integrativa a quella che già viene corrisposta all’interessato dall’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS). Naturalmente, il suo importo andrà a dipendere da quanto il pensionato avrà versato nel corso della sua vita lavorativa: maggiore è la somma delle contribuzioni, più elevato sarà il vitalizio di cui potrà godere in questa particolare fase della sua esistenza.
Anche in questo caso, però, ci sono alcune differenze nella modalità con cui sarà corrisposto quanto dovuto dal fondo pensione. Solitamente, i soggetti che si dedicano alla previdenza complementare offrono alle controparti le seguenti proposte:
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- una rendita vitalizia immediata, tale da prevedere il sostegno dell’interessato finché questi sia in vita;
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- una rendita vitalizia differita, la quale prevede invece il pagamento del trattamento a partire da un periodo che sarà indicato dall’aderente stesso. Anche in questo caso, la rendita dovrà essere corrisposta sin quando l’interessato sia in vita;
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- rendita certa e poi vitalizia, tale da prevedere la corresponsione di una rendita al pensionato (oppure ai beneficiari, nel caso in cui questi sia deceduto) per il numero di anni che sono stati da questo indicati. Una volta che tale periodo sia terminato, la rendita si trasformerà in vitalizia ove il pensionato sia ancora in vita, cessando invece nell’eventualità in cui questi sia morto.
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Se queste sono le principali tipologie di rendita proposte dai fondi pensione, ci sono poi altri fattori che dovrebbero senz’altro essere tenuti in considerazione, durante la fase di scelta. Stiamo parlando in questo caso delle opzioni che possono essere esercitate da coloro i quali decidono di rivolgersi alla previdenza complementare, ovvero:
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- la reversibilità a favore del coniuge o di un altro beneficiario espressamente indicato, ove si verifichi il decesso dell’aderente, ovvero il godimento del trattamento pensionistico da parte di chi viene indicato dall’iscritto al fondo pensione;
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- la controassicurazione, che prevede il pagamento di una rendita vitalizia rivalutabile, la quale può essere versata mediante rate posticipate fin quando il pensionato è in vita. Al suo decesso, nel caso in cui il capitale sia positivo, il versamento spetterà di diritto a coloro i quali sono stati designati in qualità di beneficiari dal contraente principale;
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- la maggiorazione per LTC (Long Term Care), che viene corrisposta all’aderente con un raddoppio dell’importo nel caso in cui questi sia vittima di una perdita dell’autosufficienza. Come tale si intende in particolare l’incapacità di portare a termine azioni quotidiane abitudinarie, ad esempio lavarsi, vestirsi, prepararsi da mangiare e così via.
Capitale: cosa occorre sapere al proposito
L’altra ipotesi che può essere adottata da chi opta per la pensione complementare è rappresentata dal capitale. La liquidazione dell’importo maturato in precedenza può infatti essere erogata in una sola soluzione, fino ad un massimo pari al 50% del capitale che è stato accumulato.
La liquidazione in capitale presenta naturalmente pro e contro che dovrebbero essere valutati con grande attenzione, prima della decisione finale. Se da un lato, consente all’interessato di ritrovarsi immediatamente disponibile l’importo cui ha diritto, dall’altro presenta un rischio di non poco conto, quello che a lungo andare lo stesso si riveli insufficiente per un sereno trascorrere dell’anzianità. La rendita che sarà erogata in seguito, infatti, avrà una consistenza minore di quella spettante nel caso in cui non sia stata scelta questa ipotesi.
Occorre anche sottolineare che il versamento in capitale pari al totale di quanto è stato accantonato prevede una condizione ben precisa per poter essere esercitato: la rendita risultante dalla conversione di non meno del 70% del montante deve infatti risultare inferiore alla metà dell’assegno sociale. Come è noto, per assegno sociale si indica quel trattamento che viene destinato dall’INPS a tutti coloro i quali versano in condizioni economiche molto precarie. La cifra in questione viene decisa di anno in anno e risulta oggettivamente molto limitata.
Pensione integrativa: meglio la rendita o il capitale?
Naturalmente, tutti coloro che decidono di intraprendere la strada della previdenza complementare devono porsi la domanda se sia meglio optare per la rendita oppure per il capitale. La valutazione deve però essere portata avanti tenendo nel giusto conto le specifiche esigenze dell’interessato.
Secondo gli esperti di questa particolare materia, il modo migliore per riuscire a mettere a confronto in maniera realmente proficua le due alternative consiste nella presa in considerazione dei flussi di cassa ad esse associate. Portando avanti questo metodo di valutazione possiamo dire che:
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- il capitale che è stato oggetto di accumulazione nel corso del tempo è in grado di generare un flusso iniziale sicuro, mentre quelli futuri potrebbero risultare insufficienti per riuscire a soddisfare i bisogni effettivi che potrebbero presentarsi;
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- la rendita è a sua volta in grado di dare luogo a flussi periodici stabili lungo tutto l’arco temporale in cui il pensionato resterà in vita.
Ne consegue che optare per il capitale rappresenta una scelta molto più elastica rispetto alla rendita, ma anche foriera di maggiori rischi.
Se rende possibile porre le basi per il finanziamento di operazioni di investimento o di arginare in maniera più significativa il presentarsi di improvvisi picchi di spesa, ad esempio conseguenti al presentarsi di esigenze sanitarie tipiche dell’età, tende anche a erodere in maniera significativa la rendita spettante.
Ai fini di una corretta valutazione delle due alternative, occorre a questo punto affrontare il discorso relativo al comportamento evidenziato da gran parte degli interessati, con una netta propensione per il capitale. Molti lo preferiscono pensando magari che il periodo di sopravvivenza potrebbe non essere in effetti molto lungo. Una considerazione del resto agevolata dal fatto che l’età pensionabile nel nostro Paese si è andata allungando in maniera molto rilevante nel corso degli anni, per effetto dei continui interventi sul sistema previdenziale.
In pratica, negli interessati scatta un meccanismo che li porta a considerare ormai prossimo il momento del decesso. Qualora questo si verifichi in un arco di tempo breve, la scelta della rendita potrebbe rivelarsi un pessimo modo di gestire i soldi che sono stati accantonati. Una considerazione del tutto comprensibile e che può essere considerata un ottimo contributo alla discussione sulla scelta da adottare in tema di riscossione della pensione complementare.