La pensione integrativa è una realtà sempre più presente in Italia. Le statistiche al riguardo non sembrano lasciare dubbi sulla sua popolarità. Sono infatti 9,2 milioni i lavoratori che hanno deciso di aderire ad un’ipotesi questo genere, ovvero il 36,2% della forza lavoro presente all’interno dei confini nazionali. Una risposta la quale è stata particolarmente intensa nella parte alta del nostro Paese, ove il dato si inerpica raggiungendo il 57,1% e che si fonda sull’osservazione di un quadro pensionistico il quale è stato letteralmente rivoluzionato dalle tante riforme iniziate nell’ultima parte del millennio precedente. La riforma Dini, infatti, è stata soltanto la prima di una lunga teoria che ha infine traghettato l’Italia in un nuovo sistema, fondato sul modello contributivo e sulla presenza di un forte settore dedicato alla previdenza complementare.
Un nuovo modello il quale è stato individuato come la seconda gamba su cui costruire la retribuzione spettante a chi lascia il lavoro e si avvia verso la vecchiaia, con la speranza che la stessa sia in grado di rendere serena quest’ultima parte di esistenza. Una speranza che, come vedremo più avanti, sembra destinata ad essere disattesa, senza una pensione integrativa.
I Piani Individuali Pensionistici (PIP) e i fondi pensione, aperti o chiusi, sono le possibili opzioni che i lavoratori intenzionati a procurarsi una pensione integrativa hanno a loro disposizione per realizzare tale aspirazione. Per poter operare una scelta in grado di apportare il massimo di vantaggi possibili, occorre però che i diretti interessati li conoscano alla perfezione. Soltanto in tal modo potranno capire quale delle due soluzioni è effettivamente in grado di adattarsi alle loro esigenze.
Andiamo quindi ad esaminarli nel dettaglio, in modo da aiutarti a fare la scelta migliore per una serena vecchiaia.
Qual’è la differenza tra i PIP e i fondi pensione aperti?
Il passo propedeutico per riuscire a capire le effettive differenze tra PIP e fondi pensione aperti è rappresentato dalla comprensione del loro funzionamento. In un caso o nell’altro, si tratta di soldi versati dagli aderenti che devono essere obbligatoriamente separati dal resto del patrimonio della realtà scelta per l’apertura della posizione previdenziale.
La differenza, però, sta nel fatto che mentre i fondi pensione sono gestiti da Società di Gestione del Risparmio (SGR), Società di Intermediazione Mobiliare (SIM), banche e aziende operanti nel settore delle assicurazioni, i PIP sono invece riservati a queste ultime.
Il motivo che spinge ad escludere dai Piani Individuali Pensionistici le realtà che non fanno riferimento al settore assicurativo è da individuare nel fatto che se si tratta comunque di forme di pensione integrativa, i contratti sottoscritti in questo caso sono vere e proprie assicurazioni sulla vita. Rientrano in pratica nel ramo I (polizze tradizionali) o nel ramo III (quello delle cosiddette polizze Unit-linked), i quali rendono possibile l’adesione di qualsiasi soggetto, a prescindere dall’attività lavorativa che questi svolge.
Tutti i lavoratori, quindi, possono aderire sia ad un fondo pensione che ad un Piano Individuale Pensionistico. Prima di farlo, però, dovrebbero cercare di comprendere quale possa essere la formula più aderente alle proprie personali esigenze. In caso contrario rischiano di andare incontro a disillusioni di non poco conto.
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Piani Individuali Pensionistici: cosa sono e come funzionano
Il piano individuale pensionistico, indicato spesso con l’acronimo di PIP, può essere considerato alla stregua di uno strumento di accumulo, teso a garantire al soggetto che decide di sottoscriverlo un rendimento periodico, di cui l’interessato potrà godere una volta che abbia maturato il diritto ad uscire dal lavoro.
Per fare in modo che tale rendimento periodico, assimilabile alla pensione integrativa, possa rivelarsi pari alle aspettative sancite in sede contrattale, occorre che il lavoratore dia vita a contribuzioni regolari nel corso della sua carriera lavorativa. Gli importi versati sotto tale veste sono destinati ad alimentare un piano di investimento il quale sarà deciso da un gestore.
Un piano che prevede naturalmente lo sbocco sui mercati finanziari, in particolare indirizzato su azioni e obbligazioni. Trattandosi di asset estremamente rischiosi, il risultato non può essere definito in partenza. I rendimenti, in particolare, dipenderanno dall’avvedutezza delle scelte operate dal gestore. Al tempo stesso non esiste il rischio che i soldi investiti possano scomparire. In caso di crac, infatti, gli aderenti ai PIP sono protetti dalla garanzia statale e i loro soldi, separati in origine dal resto, non potranno essere utilizzati per ripianare il fallimento della società interessata.
L’adesione a questo genere di piano è naturalmente ispirata dalla volontà di contare su una seconda entrata una volta che sarà stata conseguita l’età pensionabile. Una seconda entrata alla quale è affidato il compito di rimediare al dimagrimento delle pensioni pubbliche derivato dal passaggio dal modello retributivo a quello contributivo, avvenuto negli anni a cavallo del nuovo millennio. Per ovviare in tal senso è stato favorito l’avvento della cosiddetta previdenza complementare, ovvero dei soggetti che propongono la pensione integrativa. Nel caso dei PIP l’erogazione di quanto dovuto può avere luogo sotto forma di capitale, oppure di rendita vitalizia. L’importo maturato, però, è a disposizione anche degli eredi, in caso di decesso di colui che ha sottoscritto il contratto. Proprio loro, infatti, possono beneficiarne dopo la sua morte.
Naturalmente, i PIP sono in grado di assicurare un largo ventaglio di vantaggi ai loro sottoscrittori. A partire da quelli di natura fiscale, con una tassazione agevolata, resa tale dal fatto che i contributi versati, sino a 5.164,72 euro all’anno, sono deducibili sulla dichiarazione dei redditi. In pratica, ogni euro versato come contributo sino al tetto di legge viene tolto dall’imponibile IRPEF. Un vantaggio di non poco conto, avvertibile immediatamente in busta paga, in quanto il netto diventa immediatamente più pesante, proprio per effetto dell’abbattimento della parte sottoposta a tassazione. Tassazione la quale, peraltro, si attesta al 20%.
A questo primo vantaggio si va poi ad aggiungere la flessibilità dei piani predisposti. Nel caso in cui si prospettino esigenze improvvise, ad esempio di carattere sanitario o derivanti dalla voglia di partecipare a investimenti sicuri, è possibile interrompere i versamenti e senza dover corrispondere penali.
È poi possibile optare per un riscatto anticipato del 75%, una casistica limitata agli investimenti immobiliari, ad esempio per l’acquisto di una prima casa o per la sua ristrutturazione, e di carattere sanitario.
Mentre si riduce al 30% il riscatto anticipato per altre evenienze, a proposito delle quali non è necessario presentare una giustificazione Per poterne usufruire è però necessario che la contribuzione sia iniziata da non meno di otto anni.
Se invece si intende procedere al riscatto totale, tale ipotesi è limitata al caso in cui si verifichi il decesso di colui che ha sottoscritto il contratto, oppure lo stesso sia vittima di una invalidità tale da impedire il lavoro o entri in un periodo di disoccupazione tale da prolungarsi nel tempo.
Se questa è la norma, dovresti però avere l’accortezza di controllare il contratto, prima di apporvi la tua firma, in modo da sincerarti che il piano prescelto vada effettivamente a contemplare le ipotesi che abbiamo riepilogato.
Quanto abbiamo ricordato, unendosi alla garanzia statale, che rende impossibile sequestrare o pignorare i soldi versati nel piano, rendono questo prodotto aderente all’intento che ha ispirato a livello politico la pensione integrativa, ovvero farne un vero e proprio pilastro del sistema pensionistico italiano.
Quali sono le differenze tra Piani Individuali Pensionistici e fondi pensione?
Abbiamo cercato di far capire il funzionamento dei Piani Individuali Pensionistici e, in particolare, i vantaggi che sono in grado di assicurare ai loro sottoscrittori. Prima di apporre la firma sul contratto, dovresti però cercare di comprendere al meglio le effettive differenze tra gli stessi e i fondi pensione. Un ottimo modo di capire quale dei due prodotti sia in grado di aderire meglio alle tue personali esigenze, esaltandone i vantaggi stessi.
La prima differenza da mettere in risalto è quella collegata alle modalità di adesione. Se ai fondi pensione si può aderire in forma individuale o collettiva, si tratti di fondi aperti o chiusi, nel caso dei PIP è possibile solo la prima ipotesi.
Inoltre c’è da considerare il tema del Trattamento di Fine Rapporto (TFR). Se l’adesione ad un fondo è collettiva, diventa obbligatorio conferirlo alla controparte, interamente oppure nella percentuale minima che è stata fissata all’interno del contratto collettivo di lavoro di riferimento. Restando al contrario su base volontaria ove l’adesione avvenga a titolo individuale, come nel caso dei PIP.
Un’altra differenza che dovresti senz’altro prendere in considerazione, in sede di valutazione, è poi quella relativa ai costi da sostenere. In questo caso, in effetti, l’adesione ad un Piano Individuale Pensionistico è destinato a pesare maggiormente. Il motivo di questa mancata convenienza è da ravvisare nel fatto che sia i contributi versati che il costo annuo del fondo interno vengono caricati sino a risultare più onerosi rispetto alle spese di adesione al fondo pensione aperto e ai costi di gestione annuali dello stesso.
Se comunque intendi evitare pessime sorprese sotto questo punto di vista, il nostro consiglio è di visionare l’Indicatore Sintetico dei Costi (ISC) relativo alle diverse categorie di fondi pensione operanti nel nostro Paese. Il documento può essere reperito sul sito della Commissione di Vigilanza sui Fondi Pensione (COVIP). Si tratta dell’autorità cui lo Stato italiano ha affidato il compito di sovrintendere al corretto funzionamento del sistema pensionistico complementare.
Una possibile alternativa consiste invece nel richiedere un preventivo personalizzato alle varie realtà operanti nel settore. In questo modo potrai mettere a confronto le varie proposte e capire quale delle stesse possa essere la più conveniente.
Meglio un Piano Individuale Pensionistico o il fondo pensione?
Dopo aver evidenziato le differenze tra i PIP e i fondi pensione aperti, è quindi arrivato il momento di capire quale delle due soluzioni sia la migliore. Per riuscirci occorre partire da una precisazione: anche all’interno di ognuna delle due categorie è possibile ravvisare notevoli differenze. Ci sono ad esempio PIP che prevedono l’investimento dei fondi versati su asset più rischiosi, come le azioni, o in grado limitare eventuali pericoli, ovvero le obbligazioni emesse da entità sicure, come i bond di Stato. Così come accade del resto per i fondi pensione, i quali possono prospettare rendimenti più elevati, ma con l’assunzione di un rischio maggiore.
In entrambi i casi è praticamente impossibile perdere del tutto i soldi versati, per effetto della garanzia statale. Al tempo stesso, però, chi intende spuntare rendimenti più elevati potrebbe ritrovarsi a lottare con le turbolenze dei mercati, le quali possono risultare difficili da governare nei momenti di crisi economica. Basta in effetti dare uno sguardo a quanto accaduto nel corso degli ultimi anni, prima a causa della pandemia di Covid e poi per il ritorno di un’inflazione vicina alla doppia cifra. Molti gestori, infatti, nel tentativo di tenere alti i rendimenti hanno optato per asset i quali hanno visto calare notevolmente il loro valore. Un decorso tale da interessare non solo le azioni, peraltro, con perdite molto estese per tutti.
In pratica, la scelta tra PIP e fondi pensione dovrebbe avere come base proprio le esigenze degli interessati. Se non si intende correre eccessivi rischi si può optare per una realtà che limita gli investimenti ad asset più tranquilli, nel caso contrario optare per quelli che sono soliti orientare l’investimento su asset più pericolosi, ma anche più remunerativi.
In ognuno dei due casi, però, si prospetta l’opportunità di creare una seconda entrata che, dopo la ridefinizione del sistema pensionistico pubblico nel nostro Paese, può essere considerata di fondamentale importanza. Stando alle previsioni, infatti, le pensioni del futuro saranno più povere. Basta in effetti dare uno sguardo al XXI rapporto annuale dell’INPS, presentato alla Camera dei Deputati dal Presidente dell’istituto Pasquale Tridico, per capire la realtà che si sta prospettando per i futuri pensionati italiani.
All’interno della relazione, infatti, è sottolineato a chiare note come siano ormai 3,3 milioni i lavoratori dipendenti che percepiscono meno di 9 euro lordi l’ora. Si tratta del 23,3% del totale, un vero e proprio esercito di persone che, secondo i calcoli, con trent’anni di contributi versati e un salario di questo genere, andrebbero a percepire un trattamento pensionistico pari ad appena 750 euro, uscendo dal lavoro a 65 anni. Se sembra giusto provare a riequilibrare un sistema che non poteva reggere alla prova dei fatti, il nuovo modello che sta emergendo rischia al contempo di produrre esiti disastrosi per gli interessati, proprio a causa del mix creato con retribuzioni che hanno perso il loro valore a partire dall’introduzione dell’euro, caso unico in Europa.
In presenza di una realtà di questo genere si capisce il motivo che sta spingendo un gran numero di persone, anche in Italia, a optare per fondi pensione o Piani Individuali Pensionistici. Anche mettendo sul piatto qualche rischio aggiuntivo, soltanto la pensione integrativa sembra in grado di poter garantire una parte finale di vita meno stentata. Proprio per questo motivo, però, sarebbe necessario informarsi al meglio, al fine di ottimizzare la scelta finale.